Due anticorpi monoclonali in fase di sperimentazione, ognuno mirato contro una citochina diversa, hanno mostrato una buona attività contro il lupus eritematoso sistemico in due studi diferenti presentati di recente al congresso annuale dell’American College of Rheumatology, a Boston.
Sifalimumab
Il primo dei due è sifalimumab, un anticorpo monoclonale interamente umanizzato che si lega, neutralizzandoli, a vari sottotipi diversi di interferone-alfa (IFN-alfa). Il nuovo agente si è dimostrato superiore al placebo nel migliorare le misure di attività di malattia in uno studio di fase IIb che ha coinvolto 431 pazienti.
Munther Khamashta, del Graham Hughes Lupus Research Laboratory del King’s College di Londra, ha spiegato all’uditorio che la risposta SRI (Systemic Lupus Erythematosus Responder Index) a 52 settimane è risultata significativamente maggiore in tutti gruppi trattati con sifalimumab, a vari dosaggi, rispetto al gruppo di controllo, trattato con il placebo.
Inoltre, nei gruppi trattati con l’anticorpo non si sono registrati eventi avversi imprevisti. È già stato documentato un aumento della frequenza di infezioni da herpes zoster nei pazienti trattati con l’anticorpo, ma queste infezioni rispondono prontamente ai farmaci antivirali, ha aggiunto l’autore.
Sifalimumab è mirato contro il recettore dell’interferone di tipo I presente sulla maggior parte delle cellule. Il suo bersaglio specifico è l’interferone alfa, il sottotipo predominante di interferone di tipo I, che ha dimostrato di svolgere un ruolo chiave nella patogenesi del lupus.
I partecipanti allo studio, 431 soggetti adulti con lupus di gravità moderata o grave, attivo, sono stati assegnati in modo casuale al trattamento con sifalimumab somministrato mediante infusione endovenosa ogni 4 settimane per un anno - tre i dosaggi testati: 200 mg, 600 mg o 1200 mg - o con un placebo.
La risposta SRI a 52 settimane è stata del 45,4% nel gruppo di controllo, 58,3% in quello trattato con sifalimumab 200 mg (P = 0,057 rispetto al placebo), 56,5% in quello trattato con 600 mg (P = 0,094) e 59,8% in quello trattato con 1200 mg (P = 0,031).
I gruppi trattati con sifalimumab hanno mostrato miglioramenti significativi rispetto a quello di controllo anche nella conta delle articolazioni interessate e in due endpoint secondari con alcune dosi specifiche: il miglioramento del rash cutaneo, misurato con l’indice CLASI (Cutaneous Lupus Erythematosus Disease Area and Severity Index) e il miglioramento della fatica.
PF-04236921
Un altro anticorpo monoclonale sperimentale di cui si è parlato al congresso ACR, noto per ora con la sigla PF-04236921 e sviluppato da Pfizer, ha come bersaglio una citochina diversa rispetto a sifalimumab, l’interleuchina-6 (IL-6).
In uno studio di fase II di dose-ranging su 183 pazienti con lupus attivo, il trattamento con PF-04236921 è sembrato ridurre la gravità delle riacutizzazioni della malattia, rivelandosi attivo già dopo 24 settimane.
La ricerca è stata presentata da Daniel J. Wallace, reumatologo presso il Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles. I partecipanti sono stati trattati con un placebo oppure 10, 50 o 200 mg di anticorpo somministrato mediante iniezione sottocutanea ogni 8 settimane.
L’età media dei partecipanti era di circa 40 anni e la maggior parte erano donne. Il punteggio medio basale dello SLEDAI, indice dell’attività della malattia, era pari a 9,5. Circa il 40% del caqmpione aveva livelli rilevabili di anticorpi anti-DNA a doppia elica e un quarto aveva livelli bassi della frazione C3 del complemento.
L’autore ha riferito che a 24 settimane la risposta SRI4 (Systemic lupus erythematosus Responder Index-4), endpoint primario del trial, è stata, complessivamente, del 59,9% nel gruppo trattato con 10 mg di anticorpo, contro 40,1% nel gruppo di controllo, trattato con placebo (P=0,076).
La percentuale di risposta è stata superiore - 49,7% contro 25,1% (P = 0,026) - anche utilizzando il BICLA (British Isles Lupus Assessment Group-based Composite Lupus Assessment), un altro indice di attività della malattia.
Anche se il farmaco alle dosi di 10 mg e 50 mg è stato considerato sicuro, durante lo studio ci sono stati quattro decessi attribuiti all’anticorpo, tra cui due casi di embolia polmonare e uno di arresto cardiorespiratorio nel gruppo trattato con 200 mg, più una sospetta embolia polmonare in una donna di 32 anni trattata con 10 mg.
La frequenza degli eventi avversi gravi è stata del 4,4% nel gruppo trattato con 10 mg, 2,1% in quello trattato con 50 mg e 11,1%, mentre quella delle infezioni gravi è stata rispettivamente del 2,2%, 4,3% e 4,4%.
Pfizer, sponsor del trial, ha stabilito che sono necessari ulteriori studi per caratterizzare meglio i benefici e i rischi dei dosaggi pari a 10 mg e 50 mg, ma non si studierà ulteriormente la dose pari a 200 mg.
PF-04236921 è un anticorpo completamente umano che lega e neutralizza il ligando dell’IL-6 anziché il suo recettore. Nei pazienti con lupus attivo si ha un aumento di questa citochina e una sua produzione in eccesso da parte dei linficiti T e B, da qui il razionale per l’utilizzo di un anti-IL-6 nel lupus.
I linfociti B iperattivi dei pazienti affetti dalla malattia producono grandi quantità di immunoglobuline, e bloccando l’IL-6 si riducono le immunoglobuline e la produzione di anticorpi anti-DNA.
Wallace ha ricordato che l’anticorpo è in fase di sperimentazione anche come trattamento per la malattia di Crohn e in un piccolo studio in aperto condotto presso il National Institutes of Health, con un agente mirato contro il recettore dell’IL-6 si erano già ottenute risposte cliniche e sierologiche promettenti.
18 di Febbraio di 2015
0 Comentarios